Da CINEMA D'ASCOLTO di Mariangela Ungaro
METROPOLIS
Lotte Eisner, conoscitrice profonda del suo lavoro, afferma che la
ricca personalità di Fritz Lang e la complessità della sua opera impediscono di
schedare il regista sotto una semplice etichetta.
Di
se stesso Lang dice:
«Innanzitutto
dovrei dire: io sono una persona che guarda. Recepisco le esperienze solo
attraverso gli occhi…»
(Fritz
Lang, in Lotte H. Eisner, Fritz Lang, p. 9.)
e
del suo mestiere:
«Sono
molto felice quando faccio un film. Non è una seconda vita per me, "è la
vita". Forse è per questo che mi disinteresso del film una volta che è
stato scritto, girato, montato. A quel punto non posso più fare niente per lui:
il film ha una sua vita propria e non fa più parte della mia.»
(Fritz Lang in Luc Moullet,
Fritz Lang, pag. 116.)
Quello
che mi ha sempre colpito del cinema di Lang, è la sua profeticità: nel film “Il
testamento del dottor Mabuse” mette in bocca al pazzo gli slogan nazisti; non
si può restare indifferenti di fronte a certe frasi attualissime, ad esempio "Dobbiamo terrorizzare la gente dicendo che finirà col perdere ogni
autorità di cui si sente investita... finché non si solleverà distruggendo il
vecchio stato...per fare con noi un nuovo mondo. Sulle rovine dello stato
distrutto noi creeremo il regno del crimine..." o i contenuti e le scenografie futuriste di “Metropolis”.
Le
musiche del film originale, che nasce come muto, sono di Gottfried Huppertz: il
preludio sembra l’ouverture di un’opera wagneriana, mentre le scene che seguono
sono quelle della città, con organo sul sincrono della fabbrica che espelle
gas, mentre il lungo corteo di schiavi operai è sonorizzato con una drammatica
marcia dai timbri scuri e armonia devastante, senza scelta. Vi si contrappone
la musica del giardino dell’eden, ovvero luogo di residenza delle classi
dirigenti: sembra tratta dal Don
Giovanni di Richard Strauss, con iniziale aria di festa sospesa con ribattuti
(sulle scene delle gare dei giovani) fino a sfociare in immensi tappeti
romantici d’archi su ritmo danzante di walzer, illuminate dalle piccole
percussioni, a connotare la spensieratezza, l’eleganza, e la fissità delle
certezze circolari della classe dirigente (che culmina sulle scene della festa
per il figlio del padrone).
Molto
ben riuscito il sincrono di tremolo d’archi pieno di suspance quando
sopraggiunge nel giardino durante la festa, Maria circondata dai bambini. La
giovane viene mandata via, e la musica non rispecchia per nulla l’azione però,
nessuna drammaticità, forse a significare che era la cosa più normale che
potesse succedere e Maria lo sapeva, nel suo sguardo illuminato e consapevole,
infatti la ragazza se ne va senza opporre resistenza.
Freder
decide di vederci chiaro e sul finale operistico e perentorio del brano, prende
la porta e va alla ricerca di Maria: qui vede l’apocalisse, gli operai al
lavoro, urla di ottavino, orchestra ritmata inesorabile simile a quelle della
scena delle galee di Ben –Hur.
La
scena dell’incidente è sonorizzata con musica davvero agghiacciante, sempre
orchestrale, mentre un gruppo di schiavi nudi, magri, emaciati e rasati,
vengono trascinati tra le fauci di questo mostro di pietra che Freder immagina,
una fornace in cui vengono gettati senza alcuna pietà; se pensiamo che il film
è del ’27 mancavano molti anni all’olocausto ebreo, che qui viene profetizzato
in modo preciso anche se ai più sembrerà di assistere alla scena di un
sacrificio umano sulla cima di una piramide atzeca.
Alla
vista del palazzo del padre di Freder, possente edificio che si erge
mastodontico dietro strade e ponti volanti, possiamo sentire una musica solenne
che ci ricorda il tema “maschio” dei supereroi americani. Sul tema affidato a
corni e trombe all’unisono (simile all’inizio della terza di Mahler) cui
l’orchestra risponde con un accordo forte e ben stagliato, vediamo il padre di
Freder che sta impartendo ordini ai suoi collaboratori.
Nemmeno
l’arrivo trafelato di suo figlio sconvolto, smuove l’uomo più potente di
Metropolis che è semplicemente infastidito per aver appreso dal figlio
dell’incidente avvenuto poco prima in fabbrica, e non dal suo collaboratore.
Mentre
il ragazzo narra al padre quanto ha visto, la musica non ha soluzione di
continuità, tra solenne minore marcia funebre o canto di prigionia, e singulti
da grand opera con ottoni ritmati e laceranti. La musica segue alla lettera i
dialoghi (ovvero le didascalie)e la recitazione, tra momenti luminosi quando si
sta parlando della gloria della città e momenti oscuri quando il figlio
presagisce la rivolta degli operai. Il tema perentorio condotto dagli ottoni
continua anche durante tutta la scena in cui il capo di Metropolis licenzia il
suo collaboratore e, alla vista delle mappe degli operai, si mostra preoccupato
esclusivamente per la minaccia al suo potere.
Sentiamo
anche il tema “dell’illuminazione” un tema che appartiene solo alle parole di
Freder quando comprende la situazione, o quando consola Josaphat, (il
collaboratore che il padre aveva licenziato) distogliendolo dal suicidio, e
anche quando sostituisce il giovane operaio nel suo lavoro estenuante.
Dopo
un iniziale walzer illuminato da piccole percussioni, che parte sul volantino
del locale Yoshiwara ascoltiamo musica da cabaret anni ’20: le immagini sono
sovrapposte con la tecnica di sovrimpressione.
Decisamente
cromatica, ammaliatrice ma subdola, con archi e incisi di trombe sordinate, la
musica che accompagna la visione della macchina con le sembianze di donna. Già
nel ’27 si pensava alla A.I.
La
musica che sonorizza le catacombe potrebbe essere trasferita senza alcun
problema su una pellicola della romanità: archi drammatici, rassegnati, armonia
modale, ritmo lento e cadenzato. Su un glissando d’arpa ci troviamo davanti
alla giovane Maria che parla di pace agli operai. Tema etereo, maggiore,
salvifico, affidato agli archi, con violino solista, con interpunzione di arpa.
Lacerato dall’interno per la sua potenza, il tema d’amore di Freder e Maria,
sembra il perfetto corrispettivo letterario del celeberrimo passo dal Cantico
del Cantici: “forte come la morte è
l'amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco”
con un solo secondo tema affidato al più poetico degli oboe, che vorrebbe in
qualche modo lenire e consolare..Ascoltiamo il massimo della retorica
orchestrale e del descrittivismo, quando viene eretta la torre di Babele, le
scene con gli schiavi, la rivolta, di cui narra Maria, raccomandando
l’intermediario tra mente e braccia, ovvero il cuore.
Risentiamo
il tema dell’illuminazione (con oboe solista come era stato alla prima
apparizione della ragazza, infatti si potrebbe anche assimilare a Maria stessa)
quando la ragazza bacia quello che crede un giovane operaio, dandogli
appuntamento l’indomani. Emblematico quando l’inventore decide di rapire Maria
e la spaventa con giochi di luce nelle catacombe: sul fermo immagine di uno scheletro illuminato,
sentiamo il trillo suonato da una marimba, chiara citazione sonora d’ossa, utilizzato
nella danza macabra di Saint Saens e diventato un sound chiave nel cinema.
La
trasformazione di Maria nel golem e viceversa è sonorizzata inizialmente con
arpa e percussioni luminose su tremolo d’archi acuti, che sfociano nel tema
salvifico di Maria stessa, come se il compositore volesse fondere musicalmente
le due creature, glissando d’arpa compreso, che chiude musicalmente la fine
della scena.
Il
tema di Maria lo ascoltiamo più avanti nella sua versione straniante, il tema è
solo un relitto tra un turbine di suoni quando la ragazza è trasformata ormai
nel golem al servizio del potente, e viene sorpresa tra le braccia del padre da
Freder, che guarda i due, ne viene accecato, è incredulo, sconvolto.
E
lo risentiamo ancora, stuprato dalle trombe, dalla voluttà del cromatismo,
dalle progressioni lussuriose come gli sguardi degli astanti aristocratici, su
un ritmo di nacchere concitato da poema sinfonico cavalleresco, quando la finta
Maria danza come la meritrice di Babilonia…E i Santi si animano su fischio di
ottavino, (un osso “suonato”) e trillo di marimba, e via col tema del Sabba,
della morte, solenne, che sembra uscito dalla sinfonia fantastica di Berlioz.
Fischiano i camini delle fabbriche, laceranti tremoli strillati di ottavino, e
si chiude l’intermezzo: la fine di Metropolis ormai è prossima.
La
disperazione della vera Maria prigioniera, è affidata al suo tema con oboe
concertante, mentre la finta Maria parla agli operai nelle catacombe, il tema
ha un accompagnamento di marimba, di morte. Ma il golem è sfuggito al controllo
del suo stesso creatore ed incita gli operai alla rivolta violenta. Emblematica
la citazione all’inno nazionale francese, la Marsigliese nella sua
parte iniziale molto bene riconoscibile sulle parole iniziali “Allons enfants
de la patrie!” quando si decide per la rivolta portando in trionfo Maria,
inciso modificato melodicamente ma riconoscibile che si fonde con la marcia
degli operai e il tema di Maria ritmato con timpani, chase claire, rulli di
tamburo violenti. Il tema degli operai è ora affidato agli ottoni, sempre più
grassi e tracotanti, nulla della rassegnazione iniziale si può più scorgere.
Mentre
la città si spegne per la distruzione degli operai, il tema glorioso in
maggiore che aveva connotato la città fino a quel momento, e i quartieri alti,
si accartoccia in minore spegnendosi progressivamente su coda di incipit della Marsigliese
in minore e armonia straniante e tema degli operai in chiusa, come un ghigno.
Le
scene dell’allagamento sono una sapiente miscela di più temi, da quello degli
operai che hanno causato la distruzione della città, ritmato e sincronizzato
con il gong che Maria fa suonare, che si fonde col tema d’amore che diventa la
sonorizzazione della disperazione dei pochi sopravvissuti che stringono accanto
alla vera Maria in una drammatica sequenza di progressioni e scene di
disperazione…Il tutto sfocia nel tema dell’illuminazione, quando finalmente
Freder riabbraccia la vera Maria, che diventa inciso mchiave rimaneggiato tra
progressioni e sound drammatico durante le operazioni disperate di salvataggio
dei bambini di Metrolis. Arriva l’organo a connotare la fine vicina, con
accordi fissi sulle scene dell’allagamento della piazza principale dove prima
si scandivano i turni di lavoro.
Continuiamo
a sentire tutti i temi: il sabba si mischia al tema danzante che prima era la
marcia degli operai, mentre gli operai ballano, ma poi subentra il tema
dell’illuminazione quando capiscono che hanno solo distrutto la città intera,
anche a scapito loro. Risentiamo anche il cabaret quando ritroviamo la finta
Maria che festeggia insieme agli aristocratici. La marcia degli operai si
intensifica, vogliono uccidere colei che li ha incitati alla distruzione,
mentre la vera Maria guida alla salvezza i bambini nella cattedrale, e il suo
tema dolce, arpa compresa, si contrappone alle scene di violenza e al tema
degli operai, che sembra tanto a questo punto la marcia di Darth Fenner mentre
gridano “A morte la strega!”
Sulle
note del tema dell’illuminazione, con piccole percussioni, finalmente tutti
comprendono la verità: la Maria
sul rogo è solo un golem, mentre la vera Maria suona la campana della
cattedrale mentre tenta di sfuggire all’inventore delle macchine.
Sopraggiunge
anche il padre di Freder, che lo vede combattere sulle guglie della Chiesa, e
sentiamo il suo tema ora per archi e non più per ottoni. Freder finisce a terra
su rullo di timpani. L’inventore delle macchine precipita, e muore con lui
l’epoca delle macchine e delle ingiustizie sociali, su tremolo di archi che si
spegne progressivamente, per accendersi nel tema della cattedrale, solenne, su
glissandi d’arpa (allusione a Maria, vera ispiratrice) e illuminato da piccole
percussioni mentre gli archi sfoggiano tutto il loro romanticismo.
E
mentre il padrone stringe la mano del capo degli operai, sentiamo il tema degli
operai per archi, in maggiore, fuso con il tema di Maria.
Finale
glorioso per un capolavoro assoluto, cinematografico e musicale.
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